In questa sezione potete trovare delle indicazioni di massima riguardo l’allenamento, i vari argomenti sono trattati senza andare troppo in profondità non essendo questo l’obiettivo del sito web di una palestra di arrampicata. Sono informazioni valide a qualsiasi livello ma sono principalmente rivolte ad una attività in falesia o ad un allenamento amatoriale in palestra; a livello agonistico tutte le componenti dell’allenamento devono essere mirate e quindi risulterebbe troppo lungo distinguere le differenti modalità nelle tre discipline, soprattutto nella Speed essendo questa una disciplina praticata quasi esclusivamente da agonisti, disciplina che merita un approccio molto specifico non percorribile in questa sede. Sono convinto che il gesto dell’Arrampicata Sportiva appartenga indistintamente sia alla Lead che al Boulder che alla Speed, per questo sto lavorando ad un libro che partendo dalla biomeccanica arriva ad analizzare la fisiologia del movimento in arrampicata sportiva rendendo univoca l’analisi delle tre discipline.
Il riscaldamento è una parte integrante della seduta di allenamento. Ha principalmente due obiettivi: il primo è quello di prevenire gli infortuni, il secondo quello di preparare l’organismo a svolgere al meglio determinate azioni. In arrampicata sportiva solitamente gli infortuni si verificano a carico dell’arto superiore, quindi sarà importante effettuare mobilizzazioni a livello delle articolazioni interfalangee, radiocarpica, omeroradiale, scapolomerale. Gli esercizi possono essere effettuati in tanti modi diversi, aumentando l’intensità degli esercizi si stimola il sistema cardiovascolare, muscoloscheletrico, neuroendocrino, tutto questo aumenta il livello di attivazione, che è quella sensazione che ci segnala quando il nostro organismo è pronto a dare il massimo. Voglio sottolineare il termine “sensazione” perché è solo la sensibilità sviluppata ad ascoltare i segnali provenienti dal nostro corpo ad aiutarci a capire quando un riscaldamento sarà completo, inoltre sia i tempi che gli stimoli necessari ad attivarci sono assolutamente personali. Una caratteristica che è molto importante monitorare è la capacità di reclutamento. Vi siete mai chiesti perché se provate a fare dei massimali ad inizio riscaldamento i risultati sono molto al di sotto delle vostre possibilità? Venti minuti di riscaldamento ovviamente non aumentano la forza assoluta, piuttosto aumenta la capacità di coordinare la muscolatura che abbiamo a disposizione.
In questo senso c’è chi riesce a raggiungere un buon livello di reclutamento con pochi stimoli, chi invece necessita di più tempo. E' possibile monitorarsi tramite degli esercizi specifici, tipo sospensioni ad una mano o movimenti al pan, ma rimane comunque una verifica parziale, poiché arrampicare è un insieme di gesti molto più complessi. Bisogna imparare ad ascoltarsi e soprattutto interrompere il riscaldamento quando si è arrivati al livello di attivazione ottimale: insistere porterebbe solo ad intaccare le nostre riserve energetiche. Queste considerazioni sono importanti per svolgere un buon allenamento, ma diventano fondamentali se al riscaldamento vogliamo far seguire una buona prestazione, sia essa in falesia od in competizione. Qui di seguito darò delle indicazioni per i diversi tipi di riscaldamento da effettuare a seconda degli obiettivi, ma soprattutto dei mezzi che abbiamo a disposizione.
Prima però voglio individuare due errori ricorrenti nel 90% dei riscaldamenti effettuati dai climber, il primo si verifica quando si vuole liberare una via: quasi tutti sentono la necessità di darsi una piccola “acciaiata” prima del tentativo. Questo è dovuto ad un cattivo riscaldamento dove non si è avuta la pazienza di effettuare una buona vasodilatazione prima ed una buona “attivazione” dopo. Bisogna capire che se si sta provando un 8a non si può effettuare il riscaldamento sul 7b, a meno che non vogliamo partire per l’itinerario con un discreto quantitativo di acido lattico nei muscoli e con delle riserve di glicogeno in meno. Questo vale per tutte le discipline. Il secondo si verifica quando si pratica il bouldering su roccia o su sintetico: si fanno un paio di boulder semplici ed al terzo ci si sente già pronti a tirare qualsiasi movimento. In linea di massima può essere sufficiente scaldarsi facendo dei boulder semplici, ma si deve dedicare almeno 20 minuti a questa sezione di blocchi facili.
Seduta di allenamento in palestra:
Ripetere tutto 3 volte e poi aggiungere:
Liberare una via:
Ripetere tutto 3 volte e poi aggiungere:
Liberare un boulder:
Ripetere tutto 3 volte e poi aggiungere:
Queste sono delle indicazioni di massima che possono risultare utili fino ad un livello medio-alto.
Per chi riesce ad arrampicare veramente vicino al suo limite oppure in competizioni, il riscaldamento va assolutamente individualizzato e contestualizzato al tipo di situazione e disciplina che ci troviamo ad affrontare.
Con potenziamento generale si intende l’allenamento di tutti quei gruppi muscolari che non rientrano nella categoria dei muscoli specifici la cui mia personale classificazione si ferma ai flessoestensori della mano e delle dita, in quanto ritengo siano gli unici muscoli che facciano veramente la differenza. Questo è sicuramente vero nella lead; nel boulder rimane vero fino al punto in cui le coordinazioni non si limitano alla spinta delle gambe o ad opposizioni effettuate a mano aperta. Nella speed invece i muscoli specifici appartengono alla catena cinetica che estende la tibio-astragalica, femoro-tibiale e coxo femorale, oltre a tutta la catena flesso estensoria che regola le proiezioni del braccio. Questo non significa si debbano allenare solo i muscoli dell’avambraccio, ma che per quanto riguarda la lead l’allenamento degli altri gruppi muscolari deve essere completamente differente, soprattutto in termini di qualità.
Fatta questa doverosa premessa elencherò alcuni consigli per trarre dei benefici dal potenziamento generale:
Nel boulder e nella speed l’allenamento dei grandi gruppi muscolari deve essere diverso e prevedere degli esercizi specifici di forza e velocità
La forza è quella capacità condizionale che in arrampicata influenza la realizzazione di movimenti sempre più complessi. Nella maggior parte dei casi è la muscolatura dell´avambraccio il fattore limitante. Quando pensate di non bloccare ed incolpate il vostro bicipite di non chiudere, probabilmente state sbagliando bersaglio: sul sintetico provate a sostituire la presa da cui non bloccate con una presa più grande, vedrete che quasi sempre riuscirete a raggiungere quella successiva. I muscoli specifici sono il flessore profondo e superficiale delle dita; anche se lavorano sempre in sinergia, il primo è fondamentale nelle prese aperte, il secondo nelle arcuate. In realtà anche l’estensore breve e lungo del carpo per motivi biomeccanici sono da comprendere tra i muscoli specifici. Sono tutti questi muscoli a determinare in modo sinergico la possibilità di tenere prese piccole o di conformazione sfavorevole. La muscolatura dell´avambraccio è molto più complessa, ma per gli altri muscoli è più la capacità di coordinarsi che la forza intrinsecamente sviluppata ad influire sul risultato finale. Ad esempio per quanto riguarda gli antagonisti, chiamandoli genericamente estensori, è la loro capacità di decontrarsi che a volte può aiutare. In particolare questi ultimi possono determinare l´inclinazione tra metacarpo e radio e permettere ai flessori di lavorare nella condizione più favorevole. Per potenziare efficacemente i flessori delle dita bisogna eseguire degli esercizi specifici anche in trazione, perché questi muscoli lavorano in maniera differente a seconda dell´angolo formato tra avambraccio e braccio. Questa osservazione è avvalorata da un riscontro oggettivo: in sospensione su una mano la presa si tiene meglio quando il braccio è leggermente piegato. La spiegazione non si limita ad una questione meccanica, secondo cui piegando il braccio la leva del corpo diminuisce e si riduce la possibilità di oscillazione; in questo caso sarebbe sufficiente rimanere perfettamente sulla verticale per riuscire a sviluppare la stessa forza. Il fatto che a braccio piegato le prese si tengano meglio è dovuto alla modalità con cui originano i flessori della mano e delle dita. In particolare i flessori del carpo radiale ed ulnare, il palmare lungo, il flessore delle dita superficiale, il pronatore rotondo, scavallano l´articolazione contribuendo in parte alla flessione dell´avambraccio sul braccio e riescono a sviluppare una maggiore tensione quando l´angolo del gomito non è completamente aperto. Per questo è importante nell´allenamento a secco effettuare gli esercizi utilizzando tutte le angolazioni.
Passiamo ad analizzare in che maniera è possibile migliorare la forza di questi muscoli.
La richiesta energetica necessaria a sviluppare tensioni elevate viene appagata dal sistema anaerobico alattacido, quello che utilizza l´ATP (adenosintrifosfato, molecola che libera energia) immagazzinato nei muscoli ed il CP (creatinfosfato, molecola che trasporta energia).
Queste molecole non sono direttamente incrementabili, ma da un punto di vista plastico è possibile aumentare il materiale contrattile delle fibre, soprattutto di quelle rapide. Questa maggiore sezione porta ad alzare le possibilità di esprimere dei livelli di forza superiori, anche grazie ad un aumento indiretto di ATP e CP immagazzinabile. Parlo di possibilità, perché se a questo aumento di sezione non abbiniamo un efficace reclutamento, non riusciremo ad utilizzare completamente le nostre capacità muscolari. Gli esercizi che migliorano queste qualità sono quelli che portano ad un affaticamento e conseguente impossibilità a continuare, nell´arco di 4/10 secondi o ripetute. Comunque nell´allenamento della forza possiamo inserire anche altri muscoli, che soprattutto per il boulder risultano fondamentali, impiegati nelle due catene cinetiche distinte dei movimenti di compressione e di distensione. I primi si verificano quando le prese non si riescono a "tirare" ma vanno "schiacciate", come spesso capita nelle aperture su svasi; nei muscoli specifici rientrano il gran pettorale, la porzione anteriore del deltoide, il capo lungo del bicipite.
I movimenti di distensione si verificano nei mano-piede e nella quasi totalità dei ribaltamenti i cui muscoli specifici sono il tricipite, il grande rotondo, porzione posteriore del deltoide.
È importante notare che l´allenamento del singolo muscolo non risulta efficace quanto l´esecuzione di esercizi che coinvolgano l´intera catena cinetica.
La resistenza è quella capacità condizionale che permette di protrarre lo sforzo nel tempo in relazione all’intensità. In arrampicata è fondamentale sottolineare il termine intensità, perché questa nella quasi totalità delle vie o dei boulder varia continuamente. Mentre in competizione si cerca di rendere l’itinerario il più omogeneo possibile, in falesia i cambi di ritmo sono frequenti, soprattutto in placca. Considerando che anche il tempo della prestazione può variare di molto sia in competizione che in falesia, possiamo affermare che l’allenamento della resistenza in arrampicata è una questione molto complessa.
Come per la forza, i muscoli che pongono dei limiti nel protrarre lo sforzo nel tempo sono i flessori della mano e delle dita, i meccanismi energetici che entrano in gioco sono quello anaerobico lattacido e quello aerobico. Il primo ricostituisce le molecole di ATP in parziale assenza di ossigeno rilasciando nel muscolo acido lattico, il secondo ricostituisce le molecole di ATP in presenza di ossigeno rilasciando acqua ed anidride carbonica. La glicolisi anaerobica è un sistema che produce più velocemente ATP rispetto a quello della fosforilazione ossidativa (64 molecole invece di 36 nell’unità di tempo). Per contro mentre nei processi ossidativi la molecola di glicoso viene completamente degradata fornendo 36 molecole di ATP, nella glicolisi anaerobica una molecola di glicoso fornisce solo due molecole di ATP. Quindi il meccanismo anaerobico è più potente ma meno efficace, consumando grandi quantità di glicogeno e rilasciando acido lattico, sostanza che inibisce la contrazione muscolare. La possibilità che i nostri bisogni energetici vengano soddisfatti dai meccanismi aerobici dipende sostanzialmente dall’intensità dei movimenti e dalla nostra capacità di consumare ossigeno. Il massimo consumo di ossigeno è limitato da due fattori: la gettata cardiaca e la capillarizzazione. Il meccanismo anaerobico lattacido è limitato dalle riserve di glicogeno muscolare, dalla tolleranza dei tessuti ad un ambiente acido, dall’utilizzo del lattato da parte delle cellule adiacenti.
Proviamo a ricondurre queste premesse all’arrampicata: quando un arrampicatore cade nella maggior parte dei casi avverte un dolore all’avambraccio dovuto ad un accumulo di acido lattico, che porterebbe ad individuare i meccanismi della glicolisi anaerobica come limite principale. Questo è vero solo in parte; ritengo che a parità di intensità per migliorare la resistenza sia più importante intervenire sui livelli di forza assoluta e di massimo consumo di ossigeno, piuttosto che su quelli della potenza lattacida per le seguenti ragioni: 1) aumentando i livelli di forza si aumentano le riserve iniziali di ATP e PC, ma anche la possibilità di far lavorare in maniera asincrona le fibre muscolari, permettendo a queste di essere ricaricate in parte dal sistema aerobico; 2) alzando la capacità di consumare ossigeno si ritarda e successivamente si limita la portata richiesta dal meccanismo anaerobico lattacido. Questo discorso sicuramente non è valido per gli atleti che partecipano a competizioni di difficoltà o che puntano a realizzazioni on sight su pareti strapiombanti senza punti di recupero. In questi casi l’intensità protratta per lunghe sezioni è talmente alta da obbligare ad effettuare allenamenti specifici che migliorino anche la potenza lattacida. Nel boulder la situazione è ancora più complessa ed al di là del sentito dire la resistenza intesa come potenza lattacida è una qualità fondamentale in questa disciplina. Per quanto riguarda la speed, ad altissimi livelli maschili qualsiasi tipo di resistenza è trascurabile e la prestazione si riduce alle riserve di ATP e CP già presenti nelle cellule, invece nelle donne ed oltre i 7 secondi nel maschile è discriminante anche il meccanismo anaerobico lattacido.
Gli esercizi specifici che allenano la resistenza si dividono in due grandi categorie: quelli che si sviluppano in unica soluzione e quelli che si sviluppano con delle ripetute intervallate da momenti di recupero. Tra questi due sono da preferire i primi in quanto in genere più specifici avvicinandosi maggiormente al tipo di impegno richiesto, il secondo tipo serve soprattutto ad allenare la tolleranza dei tessuti ad un ph sfavorevole. La durata può variare dai dieci secondi ai dieci minuti.
La coordinazione è quella qualità che permette di mantenere una posizione o di eseguire un movimento con il minore dispendio energetico. Ci sono due livelli di coordinazione: 1) a livello di ogni singolo muscolo 2) a livello di tutti i distretti muscolari. Nel primo caso è fondamentale che il muscolo si contragga nella misura strettamente indispensabile a superare una determinata resistenza; una eccessiva contrazione può essere limitante non solo ai fini energetici, ma anche all´economia del movimento globale. Nel secondo caso risulta importante la successione temporale con cui si verificano le varie contrazioni. Nel primo livello l´errore più frequente è quello di una eccessiva contrazione della muscolatura dell´avambraccio ad esempio durante i moschettonaggi quando le protezioni si allontanano ed in tutti i momenti di incertezza dati da un movimento particolarmente complesso. Nel secondo livello l´errore più evidente è quello di una mancata sinergia delle differenti catene cinetiche. Molto spesso il movimento delle gambe ed anche del busto accompagnano quello delle braccia, senza partecipare in maniera diretta al movimento: l´esempio tipico è quello in sbandierata dove le gambe non vengono raccolte immediatamente ma oscillano aspettando che si esaurisca l´energia cinetica. Ancora peggio sono i movimenti spezzati, dove la spinta delle gambe non avviene in contemporanea ma segue l´azione delle braccia, diminuendo di molto l´effettiva ampiezza che il movimento combinato potrebbe permettere. Da un punto di vista strettamente teorico un´ottima coordinazione dovrebbe portare a realizzare l´esecuzione globale di una via o di un boulder mantenendo una velocità costante (escludendo il momento della partenza), questo è evidente analizzando il gesto degli atleti speed di alto livello in cui ad ogni appoggio viene immediatamente associata una spinta che permette di non interrompere mai l’esecuzione complessiva. Ogni movimento deve sfruttare al massimo l´energia cinetica del movimento che lo precede, riducendo al minimo i momenti di accelerazione e decelerazione. Questo è sicuramente vero a livello teorico, ma in pratica i punti di riposo e determinati lanci portano necessariamente a cambiare velocità nella lead e nel boulder. Comunque al di là di situazioni specifiche, è conveniente cercare di trasferire le singole velocità anche se il corpo sembra stare fermo. Mi spiego: una condizione con mani ferme e 4/5 spostamenti di piede successivi potrebbe far pensare che ci sia poco da risparmiare, invece ogni piazzamento di piede può contenere intrinsecamente una parte dello spostamento necessario a piazzare il piede successivo. Questa è una visione completa dell´arrampicata che non si limita a tenere una determinata presa o a posizionare correttamente un piede, ma porta la persona ad esplorare le sue potenzialità.
Questa è la capacità più difficile da migliorare; ci vuole pazienza, umiltà e soprattutto curiosità. E´ una ricerca personale, un buon allenatore può aiutare a comprendere determinate dinamiche ma poi diventa fondamentale la disponibilità personale a mettersi in gioco.
In arrampicata parlare di tecniche catalogate è utile esclusivamente da un punto di vista comunicativo. Questo non significa che la tecnica non sia importante, tutt’altro: l’allenamento della tecnica è una questione talmente complessa che ridurlo all’analisi delle cosiddette “tecniche fondamentali” rischia di diventare un discorso fine a se stesso. Catalogare le varie tecniche (frontale, esterno, omologo, ect..) sicuramente semplifica il lavoro agli istruttori che un bel giorno decidono che sia ora di insegnare agli allievi la “lolotte”; ma allenare la tecnica è tutta un’altra questione. I fattori che complicano l’allenamento di questa qualità sono principalmente due:
1) Le sequenze di prese ed appoggi possono avere combinazioni infinite in termini di conformazione, direzione, inclinazione 2) La soluzione migliore spesso è strettamente personale. La strada per migliorare tecnicamente non è quella di dire: “oggi voglio imparare il tallonaggio”; purtroppo è molto più lunga ed implica un senso critico in tutti i passaggi che ci troviamo ad affrontare, facili o difficili che siano. E’ importante focalizzare l’attenzione nei momenti in cui riusciamo a risolvere dei passaggi impegnativi, accontentarsi del risultato senza porsi le domande giuste è una occasione persa per migliorare tecnicamente. Arrampicare con consapevolezza porta ad ampliare il bagaglio tecnico che abbiamo a disposizione per risolvere nuovi problemi, è l’esperienza che ci aiuta a scoprire nuove tecniche e ad approfondire quelle che già conosciamo.
a tattica è l'insieme delle decisioni volte ad organizzare l'esecuzione motoria. Sarebbe bene riuscire a prendere il maggior numero di decisioni quando si è ancora a terra, ciò non toglie che in competizione ed in tutte le situazioni "a vista" alcune modifiche siano inevitabili. Quindi bisogna ricondurre l'organizzazione della tattica a due momenti differenti: il "prima" ed il "mentre".
Questo porta allo sviluppo di due capacità:
La capacità di lettura si esprime soprattutto a terra, riuscire ad interpretare la giusta sequenza prima di iniziare ad arrampicare ci permette di risparmiare parecchie energie. Individuare i punti di recupero e le sezioni più intense ci suggerisce anche il ritmo con cui va affrontato il percorso: è inutile fermarsi a prendere magnesite se un metro più in alto c'è un buon punto di recupero. Per migliorare questa capacità bisogna studiare bene la sequenza e successivamente confrontare le decisioni prese con i risultati ottenuti, il processo di apprendimento è basato esclusivamente su questo confronto. La capacità di modifica si esprime in parete e consente di aggiustare le valutazioni fatte precedentemente alle effettive esigenze che il movimento propone. Questo non significa che la lettura effettuata inizialmente sia inutile: ad esempio, ricordare la posizione di un appoggio senza starlo a cercare ti permette di riorganizzare il gesto in tempi molto ridotti. È una qualità molto istintiva e fortemente influenzata dalla condizione psicologica: accorgersi di aver sbagliato porta molto spesso ad arrendersi prima che le riserve energetiche siano effettivamente esaurite.
Seguono dei consigli per tre differenti tipi di prestazione.
Via lavorata:
Vie a vista/ gara difficoltà:
Gara di blocchi:
Quando si parla di mobilità si fa riferimento principalmente alle capacità elastiche dei muscoli scheletrici; i tendini sono delle strutture poco estensibili ed i legamenti, pur avendo una discreta elasticità, sono deputati a mantenere nella propria sede i capi articolari. Una buona mobilità permette da un lato di raggiungere posizioni che facilitano la progressione e dall’altro di muovere il corpo con un minore dispendio energetico.
L’articolazione che in tal senso risulta maggiormente coinvolta è la coxofemorale, con particolare riferimento al movimento di elevazione anteriore ed extrarotazione della coscia con la gamba in flessione. Questo movimento è frenato in maniera diversa dalla muscolatura dei glutei, ischiocrurali, quadrato dei lombi; di conseguenza a questi muscoli andrà rivolta buona parte degli esercizi di allungamento. Allenare la mobilità può migliorare la prestazione ed in secondo luogo diminuisce la possibilità di infortuni, questo discorso è rivolto soprattutto agli arti superiori ed in particolare ai muscoli delle articolazioni scapolomerale ed interfalangee. Eseguire esercizi di allungamento al termine della seduta di allenamento aiuta ad eliminare le contratture e facilita il recupero fisiologico della muscolatura che ha accumulato tossine.
Possiamo dividere gli infortuni in due tipi: accidentale e da sovraccarico. Le possibilità che si verifichi un infortunio accidentale in arrampicata sono basse se paragonate a quelle di altri sport come il calcio, la ginnastica o lo sci. Nell´attività svolta con la corda si riducono quasi a zero se l´attrezzatura tecnica è utilizzata in maniera corretta. Nel bouldering invece le ripetute cadute possono causare dei danni alle articolazioni intervertebrali, soprattutto a quelle lombosacrali, ed all´articolazione astragalocalcaneare. Gli infortuni accidentali si verificano in tutti gli sport e per quanto si possano prendere delle precauzioni, spesso non sono degli eventi gestibili. Al contrario i traumi da sovraccarico possono essere prevenuti attraverso un allenamento corretto; il riscaldamento, l´allungamento e soprattutto la programmazione, riducono fortemente l´incidenza di infortuni di questo tipo. Le problematiche maggiori si localizzano a livello della mano, del gomito e della spalla. Mano: le strutture che subiscono le maggiori sollecitazioni sono le articolazioni interfalangee prossimali, i tendini del flessore superficiale delle dita, i tendini del flessore profondo delle dita. L´articolazione interfalangea si infiamma quando le dita lavorano in posizione di semidistensione; in questa situazione il carico "stira" l´articolazione e la capsula può rimanere danneggiata soprattutto se il peso viene applicato sulle singole dita, come nel caso di monoditi e biditi. I tendini flessori delle dita si infiammano per attrito meccanico degli angoli sviluppati tra le strutture legamentose ed i tendini stessi. Gomito: le zone che più facilmente si infiammano sono quelle attorno all´epicondilo mediale e laterale dell´omero. Dall´epicondilo mediale originano i flessori della mano e delle dita, il pronatore rotondo e subito più in basso si inserisce a ventaglio l´aponeurosi bicipitale. Questa zona è quella più sottoposta a delle mioentesiti (infiammazioni che interessano la parte terminale di un muscolo ed il suo tendine); in questo caso alternare il riposo ad una leggera attività è un valido rimedio per il recupero delle strutture lesionate. Il dolore all´epicondilo laterale è causato da un´infiammazione del brachioradiale, o degli estensori della mano e delle dita. Un´altra patologia a livello del gomito è quella a carico del nervo radiale che per il suo decorso è fortemente sollecitato nel movimento di trazione; le continue compressioni possono danneggiare la struttura del nervo fino ad inibire completamente il movimento di trazione. Un sintomo che prelude ad una seria infiammazione del radiale è l´intorpidimento notturno degli arti superiori; lo stretching ed il massaggio possono migliorare il decorso della patologia. Spalla: la testa dell´omero è accostata alla cavità glenoidea esclusivamente per azione della muscolatura circostante, questo consente all´articolazione un´ottima escursione su tutti i piani ma espone la stessa a frequenti possibilità di lussazioni. In arrampicata l´articolazione scapolo-omerale è sottoposta ad una notevole sollecitazione e le tensioni si sviluppano in moltissime direzioni, questo obbliga a potenziare la muscolatura circostante in maniera uniforme in modo da poter sviluppare delle contrazioni bilanciate che permettano di mantenere l´articolazione il più stabile possibile. È molto importante riscaldare la suddetta muscolatura muovendo le braccia in tutte le direzioni per almeno cinque minuti prima di iniziare ad allenarsi.
Allenare le capacità mentali ha senso solo per gli atleti di alto livello che devono trovare nei momenti precedenti la competizione la condizione mentale migliore. Nella mia esperienza di atleta questo è un lato che avevo trascurato; solo ultimamente mi sono reso conto che la condizione mentale può essere modificata e soprattutto che a parità di condizione atletica può portare dei miglioramenti sostanziali alla prestazione. Ci sono delle tecniche specifiche per questo tipo di allenamento, ma io non le ho mai sperimentate perché le ritengo estremamente noiose (in fondo anche quando gareggiavo arrampicavo per il piacere di salire). Il mio personale atteggiamento era quello di pensare di fare qualcosa di importante, ci sono persone che ti guardano, tracciatori che disegnano dei percorsi, giudici che assegnano punteggi, altri atleti che provano le stesse cose, e se per caso quel giorno ti tieni può essere tutto molto divertente. Come ho detto, non voglio parlare di allenamento delle capacità mentali ma piuttosto prendere in considerazione due aspetti che nella pratica comune possono incidere negativamente sull´arrampicata di molte persone: 1) la paura di cadere 2) l´ansia da realizzazione. La paura di cadere è un istinto naturale giustificato dalla possibilità di farsi male; se però cerchiamo di razionalizzare un poco la questione, bisogna ammettere che le possibilità di farsi male cadendo sono molto più basse di quelle di quelle che affrontiamo raggiungendo le falesie in macchina. Una via ben spittata, soprattutto se leggermente strapiombante, riduce le possibilità di infortunio praticamente a zero. Detto questo bisogna constatare che molte persone quando si allontanano dallo spit si irrigidiscono e cambiano la maniera di arrampicare. Un aiuto a superare questo problema può arrivare arrampicando con persone che non hanno paura di cadere e mettono la caduta tra le regole del gioco. Questo non significa che si può cadere sempre tranquillamente, ma che l´esperienza vi aiuterà a valutare se state per penzolare nel vuoto o se state per spalmarvi sul terrazzino sottostante. L´ansia da realizzazione caratterizza le giornate di molti arrampicatori: di quello che si allena tutti i giorni e di quello che non si allena mai. Io la trovo una reazione un poco incoerente e che pregiudica una analisi obiettiva di quello che si sta facendo: se l´esito di una giornata ad arrampicare dipende esclusivamente dall´aver realizzato o meno un obiettivo, allora si è sprecata la maggior parte del tempo. L´ambiente, la roccia, l´aria fredda che secca la bocca ed incolla le mani alle prese, la sensazione di fatica a fine giornata, rimangono comunque una esperienza anche se non coronata dalla soddisfazione di una realizzazione. In competizione l’ansia può diventare paura di vincere e per superare questo serve tanta volontà od un allenatore con la giusta personalità e sensibilità.
Il principio base di ogni programmazione è molto semplice: allenarsi troppo o allenarsi poco portano allo stesso identico risultato, quello di non migliorare. La differenziazione del carico come quantità ed intensità permette al nostro organismo di recuperare energie ed incrementare tutte le capacità, non solo quelle condizionali, ma anche tecniche, tattiche e psicologiche. Questo però non basta ad ottenere dei miglioramenti a lungo termine; effettuare per due mesi esclusivamente degli esercizi di forza al trave, anche se ben programmati come carico e scarico, non portano ad un incremento proporzionale di questa capacità. Oltre un determinato numero di volte lo stimolo allenante perde buona parte della sua efficacia. Per massimizzare gli effetti dell’allenamento bisogna differenziare non solo quantità ed intensità, ma anche la tipologia di carico. Ad esempio nel caso in cui volessimo dedicarci all’allenamento della forza, la prima analisi da fare riguarda l’elenco dei tipi di esercizi che si possono effettuare: boulder in placca, su strapiombo, di compressione, di dita, esercizi al trave in sospensione, in trazione, ad una mano, due mani, concentrici, isometrici, eccentrici, esercizi dinamici al pan, etc..
Variare lo stimolo allenante permette da un lato di recuperare meglio l’allenamento precedente e dall’altro di non “abituarsi” allo stimolo stesso. Voglio sottolineare che seguire una programmazione porta dei benefici non solo ad atleti di alto livello, ma anche ad arrampicatori dilettanti (senza considerare il fatto che molti arrampicatori di medio livello dedicano a questo sport moltissimo tempo). I benefici non si limitano ad un incremento delle sole capacità condizionali, ma sono molteplici; una buona programmazione riduce gli infortuni, aumenta la consapevolezza del proprio modo di arrampicare, produce un allenamento più divertente in virtù della differenziazione dello stimolo di cui parlavo prima.
In ultima analisi, se abbiamo la curiosità di spingere la nostra arrampicata al limite, programmare l’allenamento è indispensabile.
Seguono dei consigli volti a chi non abbia tempo o soldi per farsi allenare da un professionista. Provare comunque a fare una scheda che programmi le varie sedute di allenamento porterà sicuramente un giovamento alla vostra arrampicata.